|
Interruzione del periodo di comporto e obbligo di concedere le ferie
Corte di Cassazione, sentenza 29 ottobre 2018, n. 27392
La
Corte di Cassazione, con sentenza 29 ottobre 2018, n. 27392, si
è pronunciata in merito all’obbligo del datore di lavoro
di concedere le ferie per evitare il superamento del periodo di
comporto.
La Corte dapprima ribadisce il principio secondo cui il datore di
lavoro non è tenuto ad accogliere una richiesta di ferie
tempestivamente avanzata, essendo quest'ultima rimessa ad una sua
valutazione nell'ambito del bilanciamento di esigenze contrapposte.
Tuttavia, se la richiesta del lavoratore è finalizzata ad
evitare la perdita del posto di lavoro, solo esigenze organizzative
effettive e concrete possono, in ossequio alle clausole generali della
buona fede e correttezza, giustificare un diniego delle ferie e
così far prevalere l'interesse aziendale all'interesse del
lavoratore di godere di giorni di ferie, scongiurando così la
maturazione del comporto.
Spetta al datore di lavoro dimostrare - ove sia stato investito di una
richiesta di ferie finalizzata - di aver tenuto conto, nell'assumere la
relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del
lavoratore ad evitare in tal modo la possibile perdita del posto di
lavoro per scadenza del periodo di comporto.
Impugnazione di licenziamento e termini di decadenza per il ricorso giudiziale
Corte di Cassazione, sentenza 31 ottobre 2018, n. 27948
La
Corte di Cassazione, con sentenza 31 ottobre 2018, n. 27948, si
pronuncia in merito ai termini da rispettare per l’impugnativa
giudiziale del licenziamento, come novellati dalla legge 92/2012, in
ipotesi di richiesta di conciliazione.
Detta normativa prevede l’obbligo di impugnare stragiudizialmente
il licenziamento entro 60 giorni. Detta impugnazione é
inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di
centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del
Tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla
controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.
Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati
o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo
espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di
decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.
In caso di rifiuto non può essere invocato il diverso ulteriore
termine sospensivo di 20 giorni successivi alla conclusione della
conciliazione previsto dall’art. 410 c. 2 c.p.c. che recita: “La
comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di
conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del
tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua
conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza”.
Omesso versamento contributi: pagamento anche della quota a carico dei lavoratori
Corte di Cassazione, sentenza 16 ottobre 2018, n. 25856
La
Corte di Cassazione, con sentenza 16 ottobre 2018, n. 25856, ha
confermato il principio espresso dalla L. 4 aprile 1952, n. 218,
articolo 23, secondo cui il datare di lavoro che non provvede al
pagamento dei contributi è tenuto al pagamento anche per la
quota a carico dei lavoratori, senza possibilità di una rivalsa
successiva nei confronti di costoro.
Ciò in quanto il combinato disposto della L. 218/1952, articoli
19 e 23, delinea il regime giuridico di 2 distinte fattispecie, la
prima delle quali ha ad oggetto l’ipotesi normale e fisiologica
del pagamento della contribuzione alla scadenza del periodo di paga, la
seconda, quella patologica, dell’omissione del pagamento o
dell’adempimento tardivo, facendone derivare conseguenze
rilevanti in punto di responsabilità del datore di lavoro.
La Corte ha precisato che in conseguenza dell'inadempimento del datore
di lavoro deve evitarsi che venga riversato sul lavoratore il pagamento
delle somme arretrate, il cui livello si accresce per il tempo
dell'inadempimento, assumendo proporzioni apprezzabili e direttamente
proporzionali al perdurare dell'inadempimento del soggetto obbligato.
Lavoratori somministrati: disoccupazione per perdita di un solo contratto
Corte di Cassazione, sentenza 17 ottobre 2018, n. 26027
La
Corte di Cassazione, con sentenza 17 ottobre 2018, n. 26027, si
è pronunciata in merito al diritto del lavoratore somministrato
di ottenere l’indennità di disoccupazione nel caso in cui
si risolva uno solo di due rapporti di lavoro.
La Suprema Corte ha confermato la spettanza dell’indennità
richiamata sull’assunto che lo stato di disoccupazione
normativamente rilevante ai fini del diritto all’indennità
di disoccupazione non equivale alla totale mancanza di ogni
attività lavorativa, ma piuttosto alla percezione di redditi di
importo inferiore alla soglia minima imponibile per legge.
Confermata
la legittimità della differenza dei limiti di
pignorabilità di retribuzioni, pensioni e altre indennità
Corte Costituzionale, sentenza 15 novembre 2018, n. 202
La
Corte Costituzionale, con sentenza n. 202 del 15 novembre 2018, ha
confermato la legittimità costituzionale dell’art. 545,
terzo, quarto, e ottavo comma, del codice di procedura civile nella
parte in cui non prevede l’impignorabilità assoluta di
quella parte della retribuzione necessaria a garantire al lavoratore i
mezzi indispensabili alle sue esigenze di vita.
La norme è stata, inoltre, dichiarata costituzionalmente
legittima nella parte in cui prevede limiti differenti per le
retribuzioni pignorate presso il datore di lavoro e quelle confluite
nel conto corrente prima del pignoramento.
L’impignorabilità assoluta del minimo vitale può
essere attenuata al ricorrere di alcuni casi specifici individuati
dalla legge.
La costituzionalità delle norme è giustificata dalla
circostanza che Il legislatore ha inteso, infatti, contemperare le
esigenze di certezza del recupero del credito con quelle di
salvaguardia del minimo vitale per il debitore.
Studi di settore: obbligo di motivare il mancato accoglimento delle giustificazioni
Corte di Cassazione, ordinanza 14 novembre 2018, n. 29323
La
Corte Costituzionale, con sentenza n. 202 del 15 novembre 2018, ha
confermato la legittimità costituzionale dell’art. 545, terzo, quarto,
e ottavo comma, del codice di procedura civile nella parte in cui non
prevede l’impignorabilità assoluta di quella parte della retribuzione
necessaria a garantire al lavoratore i mezzi indispensabili alle sue
esigenze di vita.
La norme è stata, inoltre, dichiarata
costituzionalmente legittima nella parte in cui prevede limiti
differenti per le retribuzioni pignorate presso il datore di lavoro e
quelle confluite nel conto corrente prima del pignoramento.
L’impignorabilità assoluta del minimo vitale può
essere attenuata al ricorrere di alcuni casi specifici individuati
dalla legge.
La
costituzionalità delle norme è giustificata dalla circostanza che Il
legislatore ha inteso, infatti, contemperare le esigenze di certezza
del recupero del credito con quelle di salvaguardia del minimo vitale
per il debitore.
|
|