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La
possibilità di trasferire la propria posizione da un fondo
pensione all'altro è un principio cardine del sistema di
previdenza integrativa. Il decreto legislativo n. 252/2005, infatti, ha
previsto, da un lato, la facoltà per l'aderente ad un fondo di
previdenza complementare di trasferire l'intera posizione individuale
maturata a un’altra forma pensionistica e, dall'altro lato, che
gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche prevedano
esplicitamente tale facoltà,. Non possono, pertanto, contenere
clausole che risultino, anche di fatto, limitative del diritto alla
portabilità dell'intera posizione individuale.
Ciò nonostante, esiste ancora oggi contenzioso in materia; la
problematica per larga parte investe i fondi preesistenti alla riforma
del 1992/1993.
Le Sezioni unite della Cassazione hanno risolto un conflitto
interpretativo sorto in merito all'applicabilità del
trasferimento della posizione detenuta in un fondo a capitalizzazione
collettiva.
In sintesi, la vicenda nasce dalle pretese avanzate da un lavoratore
che all'atto della richiesta di trasferimento della propria posizione
avanzata nel 1997 aveva ottenuto il trasferimento unicamente della
contribuzione a proprio carico e non della quota parte versata dal
datore di lavoro. La Cassazione, dando atto di differenti orientamenti
dei giudici di legittimità, risolve il contrasto aderendo, alla
tesi secondo cui il diritto alla portabilità non può
essere compresso e, pertanto, lo stesso deve ritenersi generalmente
applicabile a tutte le forme di previdenza complementare, siano esse a
capitalizzazione individuale o collettiva.
La
Corte di Cassazione ha confermato che il parziale mancato versamento
dei contributi previdenziali e assicurativi dovuti, come conseguenza di
una qualificazione errata del rapporto di lavoro (rapporto autonomo a
fronte del riconoscimento di un rapporto di subordinazione), integra
gli estremi della sanzione di omessa contribuzione e non di evasione
contributiva.
I giudici della Suprema Corte hanno evidenziato come già la
Corte di Cassazione, con una sentenza a Sezioni unite (Cass. n. 4808
del 7 marzo 2005), avesse specificato il limite all’applicazione
delle due fattispecie sanzionatorie:
- l’evasione contributiva si verifica quando viene omessa la
denuncia di un rapporto (come avviene in caso di mancata presentazione
del modello DM\10, recante la dettagliata indicazione dei contributi
previdenziali dovuti); in pratica, la fattispecie si realizza solo
quando le registrazioni o le denunce obbligatorie sono omesse o non
conformi al vero allo scopo specifico di non versare i contributi o i
premi, occultando il rapporto di lavoro e le retribuzioni pagate;
- l’omissione contributiva si verifica quando il mancato
pagamento da parte del datore di lavoro dei contributi dovuti è
seguito, comunque, alla presentazione delle denunce e delle
registrazioni obbligatorie.
La
fruizione unilaterale di congedi per gravi motivi da parte del
lavoratore, in mancanza di una previa disamina del datore di lavoro
sulla ricorrenza effettiva delle esigenze dedotte e di una verifica
sulla compatibilità dei giorni di congedo rispetto alle esigenze
aziendali, pregiudica l’esercizio del potere di organizzazione e
di direzione dell’impresa definito dagli articoli 2094 e 2104 del
codice civile e determina, inoltre, nocumento anche per gli altri
lavoratori che operano nel medesimo contesto aziendale.
Sulla base di questi rilievi, la Cassazione ha confermato il
licenziamento disciplinare di un lavoratore che aveva fruito di congedi
per gravi motivi, di durata non superiore a tre giorni, in ripetute
occasioni, senza avere atteso il consenso del datore di lavoro e
avergli consentito di effettuare le proprie verifiche.
Infatti al datore di lavoro è concesso, in presenza di ragioni
organizzative o produttive che non consentono di sostituire il
dipendente, di esprimere il proprio diniego e di proporre il rinvio del
congedo stesso ad un periodo successivo. Eccezione a questa regola si
ha nel caso di congedo del dipendente riconducibile al decesso del
coniuge, di un parente entro il secondo grado o del convivente, nel
qual caso è previsto che, se la richiesta di congedo si
riferisce a periodo non superiore a tre giorni, il datore di lavoro sia
tenuto a dare una risposta entro le 24 ore.
La Cassazione afferma che il congedo per gravi motivi, pur essendo
qualificabile come diritto soggettivo potestativo, presuppone che il
datore di lavoro sia stato posto nella condizione di controllare
l’effettiva sussistenza delle giustificazioni e di esprimere,
quindi, la propria adesione o di formulare, in alternativa, una
proposta di differimento del congedo o di fruizione parziale.
La
Corte di Cassazione ha affermato che è legittimo il
licenziamento di un lavoratore a fronte di comportamenti
extralavorativi che sono in contrasto, per loro natura, con i doveri
connessi al rapporto di lavoro.
Sulla scorta di questo principio la Cassazione ha confermato le
valutazioni già espresse dalla Corte d’Appello con
riferimento alla legittimità del licenziamento per giusta causa
irrogato nei confronti di un lavoratore responsabile di ripetuti atti
di violenza nei confronti della moglie, anch’essa socia
dell’impresa, non solo al di fuori del rapporto di lavoro ma
anche all’interno dell’azienda ed in presenza di clienti.
I giudici della Suprema Corte evidenziano come gli obblighi di
diligenza e fedeltà, insieme a quelli di correttezza e buona
fede, richiesti al lavoratore durante il rapporto di lavoro,
costituiscono obbligazioni fondamentali per la continuazione del
rapporto stesso. Detti obblighi vanno letti in “senso lato”
e cioè devono riguardare anche comportamenti extralavorativi ed
essere connessi ai doveri complementari e strumentali
all’esecuzione del contratto di lavoro, tali da non rendere
pregiudizio al datore di lavoro.
La Cassazione nella sentenza in commento precisa, a questo proposito,
che l’obbligo di fedeltà previsto dall’articolo
2105, che insieme all’obbligo di diligenza di cui all’art.
2104 del codice civile costituisce una delle obbligazioni fondamentali
in cui si sostanzia il rapporto di lavoro subordinato, ha un contenuto
più ampio di quello che risulta dalla sola disposizione
codicistica, in quanto si deve integrare con i canoni della correttezza
e della buona fede che devono presiedere alla gestione del rapporto di
lavoro ai sensi degli articoli 1175 e 1375 del codice civile.
Alla luce di questa lettura la Corte precisa che assumono rilevanza
anche i comportamenti extralavorativi del lavoratore, il quale è
tenuto ad astenersi dal compimento di iniziative pregiudizievoli
rispetto alle esigenze del datore di lavoro non solo durante il
disimpegno delle proprie attività lavorative, ma anche in ogni
altro contesto, incluso quello familiare, idoneo a confliggere con gli
interessi dell’impresa e a danneggiare, quindi, il datore di
lavoro